I pensieri del moscerino


Sulla psiche degli animali sono caduti molti tabù. Pochi anni fa uno scienziato, un divulgatore, o un semplice amante degli animali che avessero solo accennato a concetti quali l'apprendimento, l'esperienza, l'attenzione, sarebbero stati esposti all'infamante accusa di antropomorfismo. L'avanzata di un nuovo fronte di discipline - la sociobiologia, la psicologia animale, le neuroscienze - ha ribaltato lo scenario. Oggi si parla senza inibizioni di «mente animale» e dell'utilità che il suo studio può avere per la conoscenza della mente umana. Anche nel caso degli insetti, ritenuti tradizionalmente poco più che "automi naturali". Per esempio Howard Nash, del National Institutes of Health di Bethesda nel Maryland, si occupa di anestesia studiando i moscerini della frutta. Ed è entusiasta dei risultati del metodo di indagine sulla psiche di questi piccoli insetti messo a punto recentemente da altri due ricercatori, Ralph Greenspan e Bruno van Swinderen, che lavorano al Neurosciences Institute di San Diego in California.
Come questi hanno raccontato a Douglas Fox della rivista «New Scientist», la cosa è cominciata per scherzo. Hanno scommesso col loro amico Douglas Nitz, neuroscienziato che lavora sui topi, che sarebbero riusciti a fare l'elettroencefalogramma a un moscerino della frutta, il piccolo insetto che per la velocità con cui si riproduce è da sempre il beniamino dei ricercatori di genetica. E ci sono riusciti, con l'aiuto di un micromanipolatore che ha piazzato un minuscolo elettrodo nel cervello di uno di questi insetti, proprio nel punto in cui arrivano le informazioni sensoriali e si attiva la memoria. L'elettrodo era grande quasi come la testa del moscerino, ma l'EEG funzionava, e dava un tracciato incredibilmente simile a quello degli animali superiori, e dell'uomo. Ci si poteva rilevare ad esempio lo stato di sonno. Ma le vere sorprese sono venute dopo. I ricercatori hanno messo l'insetto in uno schermo a cristalli liquidi di forma cilindrica, entro il quale ruotava una striscia di luce verde. Ogni volta che la vedeva, l'insetto era attratto dalla striscia luminosa, e il suo cervello emetteva particolari onde comprese fra i 20 e i 30 hertz che gli studiosi, per non parlare di vera e propria coscienza, definiscono "segnale di rilevanza". Il segnale si attenuava via via che l'insetto si abituava alla presenza della luce. Ma tornava forte se si mostrava alla mosca una seconda striscia luminosa insieme con la prima. Non solo. Se al segnale veniva associato un evento sgradito, per esempio l'esposizione al calore, l'attenzione ritornava.
Del resto già si sapeva che i moscerini della frutta imparano come il cane di Pavlov: amano l'odore delle pesche, ma se all'odore viene associato uno stimolo doloroso imparano a stare alla larga dalle pesche. La tecnica di Greenspan e van Swinderen ha però il pregio di "leggere" direttamente nel cervello, senza doversi affidare all'interpretazione dei comportamenti, che è sempre ambigua. Si è visto così che nelle situazioni di attenzione i segnali raccolti da tre diverse regioni cerebrali, che normalmente sono diversi fra loro, diventano perfettamente sincroni: proprio come avviene nel cervello umano quando si instaura l'attenzione. E i neuroscienziati pensano che la coscienza, diversamente da altre funzioni, non abbia una localizzazione definita nella massa cerebrale ma consista nella connessione fra regioni diverse, anche lontane. Altro fatto interessante: quando l'insetto reagisce a uno stimolo emettendo il "segnale di rilevanza", non reagisce ad altri stimoli. Esattamente come noi siamo capaci di non sentire il rumore del traffico quando la nostra attenzione è concentrata su qualcosa che stiamo leggendo e che ci interessa. I ricercatori stanno ben attenti a non antropomorfizzare il risultato delle loro indagini, ed evitano il termine coscienza che è stato sbandierato dai giornali in cerca di scoop quando la ricerca è stata resa nota al Congresso di Genetica di Melbourne, nel luglio scorso. Non parlano di flusso di coscienza, ma di flusso di attenzione.
Le somiglianze sono però inquietanti, se si pensa che il cervello di una mosca della frutta contiene 250.000 neuroni, contro i 100 miliardi dell'uomo: la risposta rilevante della mosca sembra una versione semplificata della risposta di attenzione osservabile nell'uomo, dice Greenspan, e potrebbe essere un sistema-modello per analizzare l'attenzione umana. Van Swinderen pensa intanto di costruire un labirinto virtuale da far esplorare alle mosche, che potranno dirgli "che cosa è importante per loro". Per esempio offrendo due stimoli diversi e vedendo quale scelgono, poi offrendo due varianti dello stimolo che è stato preferito, e così via. Oppure, all'inverso, mostrando loro un quadrato che conduce a un triangolo che conduce a sua volta a un cerchio che conduce infine a uno stimolo sgradito, come l'esposizione al calore, si potrà vedere se la mosca "impara" a riconoscere il pericolo fin dal primo stimolo - il quadrato - o se arriva fino al cerchio. Si tratterà quindi di verificare la capacità della mosca di usare la memoria per stabilire la rilevanza degli stimoli sensoriali. E si tratterà anche di capire in quale misura i criteri di scelta di ciò che è rilevante siano innati o vengano appresi sulla base dell'esperienza del singolo individuo.
I labirinti, veri e non virtuali, sono già stati usati per analizzare i comportamenti delle api. I ricercatori sono riusciti a insegnare alle api a scegliere i percorsi giusti marcandoli con odori o colori. Le api sembrano capaci di apprendere i concetti di uguale e diverso. Nel caso del moscerino, grazie alla rapidità con cui le generazioni si susseguono, gli scienziati sperano di poter identificare i geni coinvolti nelle funzioni cerebrali quali l'apprendimento e la memoria. Nash è molto ottimista sulle prospettive della nuova tecnica: «Ci permetterà di vedere cose che solo un anno fa non avrei mai immaginato di poter venire a sapere da una mosca».

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